venerdì 29 gennaio 2010

"L'ostaggio"

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Ricordo bene il momento nel quale appresi che l'Avvocato ci aveva lasciato. Mi trovavo in macchina nel parcheggio della piscina comunale di Catania, per sfuggire al caldo umido dell'ambiente dove la squadra di pallanuoto di mio figlio svolgeva gli allenamenti e stavo leggendo le ultime pagine di "Vestivamo alla marinara". Spesso la vita e il destino sanno essere gli sceneggiatori più originali e imprevedibili. Uno sconforto e una tristezza indicibili mi colsero, mi domandai subito: e adesso chi si prenderà cura della Juventus? Mi sembrò di essere rimasta orfana per la seconda volta. Mio padre morì di cancro quando avevo dieci anni. Era solito raccontare agli amici un aneddoto legato alla sua professione di vigile urbano. Un suo collega, noto per essere più raccomandato che istruito, aveva stilato un verbale in seguito a un incidente stradale con esito tragico, dichiarando piuttosto ingenuamente: ho interrogato il morto e lui non mi ha risposto. Mai avrei pensato di assistere riguardo alla vicenda dell'esistenza terrena e addirittura ultraterrena di Gianni Agnelli a una riedizione patetica di questa storiella. Eppure, quando Margherita Agnelli domandò alla Banca Morgan Stanley informazioni in merito a chi avesse chiesto alla stessa banca di coprire o prelevare da un conto interno i 220 milioni circa dei due assegni con i quali era stata in parte liquidata l'eredità del padre alle eredi legittime e cioè lei e sua madre, si era sentita rispondere con una lettera che testualmente affermava: ... abbiamo il piacere di informarla che siamo stati avvertiti dal titolare del conto..., che diede istruzioni per il pagamento..., di non rivelare nessun ulteriore dettaglio riguardante questo pagamento. Cioè: abbiamo interrogato il morto e lui ci ha risposto di tacere. Inquietante. Come tante altre informazioni disseminate nel libro "I Lupi & gli Agnelli" di Gigi Moncalvo. Del quale consiglio caldamente la lettura ai tifosi Juventini, nonostante la Juventus vi sia citata solo un paio di volte e per di più occasionalmente. Lettura piacevole e appassionante alla stregua di un romanzo laddove si sofferma sui casi e le vicende non sempre trasparenti delle vite di tanti protagonisti della famiglia Agnelli e spesso anche impegnativa nel seguire le vicende di carattere squisitamente tecnico-documentaristico che hanno accompagnato la controversia sviluppatasi intorno alla negazione e al rifiuto di fornire a Margherita l'elenco completo dello stato delle proprietà di suo padre al momento della morte. Chi avrebbe dovuto informare Margherita? L'esecutore testamentario prescelto dall'Avvocato era naturalmente l'avvocato con l'iniziale minuscola, come sottolinea brillantemente Gigi Moncalvo, e cioè probabilmente uno dei trenta migliori legali italiani, consulente per quarant'anni dell'Uomo non a caso definito il vero Re d'Italia, Franzo Grande Stevens. Il quale però si rifiutò, constatando i dubbi e le incertezze di Margherita fin dal momento in cui lo vide nello studio del notaio Ettore Morone, il 24 febbraio 2003, insieme con Gianluigi Gabetti, l'altro consigliere del padre. Inizia da qui un percorso difficile per l'unica figlia del capostipite degli Agnelli, che accompagna Margherita e di conseguenza il lettore attraverso un dipanarsi di fatti che registrano di tanto in tanto una crepa nel muro di ostilità costruito intorno a lei, una smagliatura nella rete di un disegno che tende ad escluderla, come già era stato fatto ai danni di Edoardo, dalla successione non solo al mito del padre, ma anche e soprattutto dai punti nevralgici della gestione dell'enorme potere che i suoi diritti di nascita avrebbero dovuto conferirle. Perché? Solo perché a detta dell'Avvocato: niente donne in azienda e si comanda solo uno alla volta? C'è un altro documento che vale la pena di citare. Il 26 luglio 1996 Gianni Agnelli scrive una lettera che passa alla cronaca come la Lettera di Monaco. Nella quale spodesta virtualmente il figlio Edoardo, ancora in vita e decreta la successione a capo della famiglia Agnelli e del Gruppo Fiat. L'investitura cade su John Elkann, il figlio primogenito e di primo letto di Margherita Agnelli, diventata nel frattempo de Pahlen. Quel giorno Gianni Agnelli stava per entrare in sala operatoria per un intervento chirurgico dal quale non sapeva se sarebbe uscito vivo. Fu spinto a quella decisione (prematura?) dalla contingenza e dai due grandi vecchi. John Elkann sarebbe stato il più idoneo in virtù della sua immagine, del suo carattere e della sua giovane età. Un erede da plasmare. Che Gabetti e Grande Stevens si sono assunti l'onore e l'onere di formare. Un ragazzo sul quale sono ricadute tante speranze, aspettative e responsabilità. Tra le quali quella di guidare la Juventus. Un compito difficile, quasi da agnello sacrificale. Sotto la guida esperta di due figure che intervengono a comporre il quadro di una trinità forse erroneamente e frettolosamente attribuibile a Jean Claude Blanc e ben più autorevole. Della quale la Juventus è non solo e non tanto vittima, ma ostaggio.
la juventina
Forza Juve Giusy

1 commenti:

  • 29 gennaio 2010 alle ore 11:39

    Ciao "JUS" sono "ALE5MAGGIO"...complimenti vedo che non hai perso la tua ispirazione... anch'io ho letto il "romanzo horror" di Moncalvo e ne ho tratto le ovvie conclusioni...in ogni caso la cosa che manca di più è l'intelligenza dell'Avvocato e l'Amore smisurato che aveva per la Juve...cito: "Mi emozionano anche le parole che iniziano con la J"... non credo che JAKI possa capire!!!

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