venerdì 9 aprile 2010

“Nemmeno in Africa uno scandalo così…. “

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Così risuonarono le parole di Blatter in quella torrida estate del 2006, in piena bufera farsopolista, durante i Mondiali in Germania.

Si sa che il tipo non ami l’Italia, come dimostrò evitando di consegnare la Coppa a Cannavaro a Berlino, e denigrando il cammino degli Azzurri nella sua visita in Australia qualche mese dopo. Di conseguenza, non può amare la Juve, e ciò fu confermato dalle dichiarazioni alla fine di quello stesso anno, dichiarazioni in cui indicava esplicitamente Montezemolo come fattore decisivo per il mancato ricorso al TAR, ringraziandolo vivamente per questo.

Ci scusiamo con gli africani se sono presi a modello di un qualche atteggiamento riprovevole, lo facciamo solo come incipit per citare le parole di Blatter. Da adesso ci dissociamo da tale espressione, riferendoci in generale a chi mette in pratica atti e comportamenti indegni di una società civile.

Aveva ragione, il gran capo; in quella faccenda è emersa la presenza di uno spaccato malato all’interno della società italiana. Aveva ragione che un certo modo di gestire le cose non era degno di un paese civile. Aveva ragione che chi si comporta in quel modo non può considerarsi un popolo evoluto, magari in grado di essere da guida per altri.

Blatter però sbagliava, e di grosso, nel puntare il dito.

Sbagliava sponda. Quello che era, se non evidente, quantomeno intuibile fin dall’inizio è emerso in maniera inesorabile con il passare del tempo e grazie al lavoro di chi ha pazientemente ricollegato fatti e scritti. Non già un ex-ferroviere che misteriosamente teneva in scacco per decenni i più grandi milionari e impresari d’Italia nello gestire un ambiente che muove grandi interessi economici e visibilità popolare. Ma una collusione/corruzione vasta e generalizzata in molti dei più alti livelli della vita economica, istituzionale e sociale del Paese, con noncuranza dell’impatto sulla vita emotiva che i fatti in questione esercitano su milioni di italiani.

Lo scandalo base delle decine di migliaia di intercettazioni della Telecom, trovava nel calcio la sua applicazione più visibile, ma, incredibilmente, capovolta. Quello che la giustizia ordinaria sta ora indagando come un atteggiamento criminale che configura diverse ipotesi di gravi reati (violazione della privacy, corruzione, concussione, spionaggio industriale, ecc. ecc.), nel calcio, malato di tribalismo becero (oltre che di quello sano), fu considerato strumento di giustizia e di liberazione.

In base a questa azione delittuosa, abbinata all’altra della loro impropria divulgazione, avvengono deplorevoli cambi ai vertici istituzionali della Federazione. Vengono nominati giudici e procedure ad hoc che nemmeno in Nord Corea, in violazione dei più elementari diritti costituzionali. Una inchiesta penale con coinvolgimento di alti ufficiali viene condotta in maniera clamorosamente faziosa, contro alcuni cittadini per favorirne altri. L’impatto sociale di tutto ciò è grande, ma nessuna carica politica prende posizione. Il tutto è condito da un non meglio precisato “sentimento popolare”, espressione che camuffa biechi sentimenti posti come fondamento di giustizia.

Ma forse il peggio è nell’atteggiamento dei media. Non uno, non solo tra giornali o Tv, ma tra i singoli giornalisti, leva la voce forte per dire quanto c’è di strano in quello che sta avvenendo. Anzi, tutti sono alacri nel rincarare la dose accusatoria, anche mistificando i fatti. Non servivano inchieste d’avanguardia, o reporter d’assalto alla ricerca della verità: ma semplici cittadini italiani che nell’esercizio della loro professione pubblica testimoniassero quello che era sotto gli occhi di tutti. Invece, un muro di gomma senz’anima e senza dignità umana, prima che professionale. La riscossa successiva di pochi singoli sarà tardiva e troppo esigua per giustificare l’atteggiamento di disinformazione e malafede del resto della categoria.

Aveva ragione Blatter.

Le istituzioni sportive in africane non arrivano ad un tale livello di corruzione e schieramento. Non credo sia facile trovare un operato giudiziario con tante omissioni di atti di ufficio e tanta faziosità nel ricostruire gli eventi accusatori. In Africa, si può trovare qualche giornalista che non infanga il nome di persone o di miti del suo Paese a causa del tifo per una squadra di calcio. Non ovunque in Africa il tribalismo fa ancora sì che individui nutrano sentimenti ostili verso altri gruppi tanto da volerne il male a prescindere e senza giusta ragione.

Viva l’Africa, dunque, e abbasso Blatter e chi infanga in ogni campo lo status di Paese civile della nostra Italia.

THOMAS EJUVENTUS

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