martedì 8 giugno 2010

Calciopoli e derivati. Dall’ingiustizia nasce ingiustizia

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Ho sempre pensato che è di ogni uomo il diritto sacrosanto di farsi delle opinioni e di rispettare quelle degli altri. Questo diritto è stato negato agli italiani. Come fai a farti un’idea se non hai davanti il quadro completo della situazione? Se l’informazione agisce al contrario e invece di riportare le notizie e garantire il diritto di cronaca influenza le indagini? Auricchio “non lo so” si serviva di Galdi e delle notizie della Gazzetta dello Sport. Che abbiamo visto fare accordi con la società di Moratti, come ha chiarito l’amministratore delegato della società RCS Giacomo Catalano, rivestiti di “un grande onore e motivo di responsabilità e di stimolo soprattutto per ricercare risultati commerciali ambiziosi, ma anche per interpretare al meglio quei valori di cui l’Inter è da sempre portavoce”. Come dire che La Gazzetta continuerà a privilegiare un modo di fare informazione che esalti i risultati dei nerazzurri e li ponga al riparo da critiche che possano venire non solo dal modo di disputare le partite, ma anche dalle matasse che si dipanano al processo di Napoli. Ora che le cose sembrano mettersi non male per Moggi. Che nel momento in cui scoppiò calciopoli fu attaccato pregiudizialmente e dipinto in modo pittoresco come un padrino. Per poi finire insieme alla Juventus dentro il girone infernale di un processo sportivo celebrato in fretta e furia e senza le necessarie garanzie che si stessero seguendo le regole della giustizia.
In memoria di quell’aborto giuridico, come lo definì l’ex giudice Corrado De Biase, oggi la FIGC non manifesta alcuna fretta ed è disposta ad aspettare che un perito nominato dal tribunale trascriva sotto giuramento le nuove intercettazioni, quelle di chi juventino non è. Senza accontentarsi dei brogliacci. Mentre un sensibile magistrato è attento alle voci messe a tacere dalla storia. Promotore della diffusione in suolo italico e della prefazione di un libro sui fattacci che nel 1978 portarono l’Argentina alla vittoria del mondiale che aveva organizzato in casa.

Avevo 14 anni e me li ricordo quei mondiali e come in quegli anni la televisione mandasse in onda servizi e documentari su quelle trentamila persone che sparivano e delle quali non si sapeva più niente. Venivano prelevati dalle loro case e rinchiusi dentro luoghi spaventosi come l'ESMA, la terribile Escuela de Mecanica de la Armada trasformata in campo di concentramento, che furono il loro carcere e la loro tomba. Quando, dopo terribili torture, non venivano narcotizzati e fatti volare sull’oceano a bordo di aerei militari e scaraventati in acqua spesso ancora vivi per trovarvi la morte e l’oblìo. Non quello delle loro madri, "locas", come le definiva il regime, pazze, di dolore, che iniziarono una marcia attorno all'obelisco simbolo di Buenos Aires, il capo coperto da un fazzoletto bianco e in mano le foto e le immagini dei cari scomparsi, sotto le minacce e le manganellate che uccisero Azucena Villaflor, la fondatrice del movimento. Madri, come quelle giovani donne svanite nel nulla in una notte di settembre del 1976, denominata “la notte delle matite spezzate”, dopo aver partorito bambini dati in adozione ad appartenenti del regime e dell’esercito.
Una tragedia di orrore disumano, che ha lasciato strascichi infiniti nei bambini oggi adulti ai quali succede che qualcuno restituisca un’origine diversa. Ma che ha anche consentito di condannare alcuni carnefici di quegli anni che le ragioni di stato avevano finito per graziare. Questo ho raccontato in maniera indegnamente succinta e vorrei che i giovani e quelli senza memoria cliccassero sul loro motore di ricerca la parola “desaparecido” e conoscessero una realtà terribile, più volte ripetutasi nella storia, nota come "sparizione forzata" e riconosciuta come crimine contro l'umanità dall'articolo 7 dello Statuto di Roma del 17 luglio 1998.

Di questo si è occupato il pm Giuseppe Narducci e di come in quel clima perverso una nazione si servì dei mondiali di calcio per nascondere al mondo i suoi crimini. Se non fosse che alla presentazione del libro si sono presentati Moratti ed Auricchio, a farsi confidenze seduti vicini e il presidente dell’inter se ne è andato via a braccetto con lo zelante pm di Napoli, nell’imminenza della testimonianza che dovrà recarsi a produrre. E mi è presa l’amarezza. Per come facciano certe persone a spacciarsi per quelli che stanno dalla parte dei buoni. Perché ci aveva spiegato Sandulli : “Nella nostra sentenza evidenziammo soprattutto cattive abitudini, mica illeciti classici. Si doveva far capire che quello che c’era nelle intercettazioni non si fa. E’ stata una condanna etica”.

Io etica oggi non mi sento per niente. Adoravo Valentino Rossi. E invece mi sono ritrovata un ghigno malefico sulle labbra nell’apprendere del suo incidente. Una gamba rotta e un mondiale finito. Al Mugello, sulla pista che potrebbe percorrere a occhi chiusi. Perché? L’avevo visto allo stadio a tifare per l’inter. E allora non è più calcio. E’ diventata un’altra cosa. Un’altra cosa che non puoi chiamare sport. Una distorsione della realtà. Un modo di relazionarsi con l’avversario che non ne prevede più il rispetto. Che non gli rende l’onore delle armi, ma lo passa per le armi a qualunque costo. Qualche volta per davvero. Come a Torino dopo la finale di champions. Per colpa di un cretino tatuato che si crede un campione. E per colpa di noi tutti. Che non siamo più tifosi. Siamo un’altra cosa. Siamo in guerra e non abbiamo rivali né avversari. Soltanto nemici. E non siamo impegnati in una sfida leale, ma nel loro annientamento. E non vogliamo giustizia, perché a questo punto ci basta la vendetta. E i nostri eroi non giocano più dentro un fazzoletto verde. Con i muscoli tesi e il sudore che gronda. Non si battono dentro uno stadio, ma dentro un tribunale o come clandestini dentro la nuova frontiera dell’informazione. E il mio cuore non batte più per Del Piero o Buffon, ma per D’Onofrio e Prioreschi.
E tutto questo non mi sembra normale.

La juventina
Forza Juve Giusy

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