giovedì 25 marzo 2010

Il collettivo ---------- il nostro “ex” più rimpianto

0 commenti

Abbiamo davanti il compito di una ricostruzione tecnica pressoché totale. Bisogna quindi stabilire le priorità. La priorità.

C’è qualcosa di più importante e prezioso che non re-introdurre nella nostra storia una mentalità ed uno spirito di gruppo, che si tramuti in un gioco corale di squadra ?

Re-introdurre, perché questa è sempre stata una caratteristica della nostra squadra, e perché, invece, da diverso tempo a questa parte è andata smarrita.

Il generale prima del particolare.

Che non significa annientamento del secondo ma, al contrario, sua piena valorizzazione.

Tutti sono utili, nessuno indispensabile.

Per chi ha voglia e predisposizione, c’è posto; per chi dice “ci sono io che…” il posto c’è, ma lontano dalla Juve.

Non si tratta solo di una questione emotiva momentanea e rabbiosa, il disperato “uno per tutti e tutti per uno” nel momento di difficoltà. Ma di spirito e mentalità di base in seno alla squadra, fin dalla fase di progettazione.

La consapevolezza in tutti gli elementi che ogni momento vissuto nella squadra è un bene prezioso; ogni possibilità di entrare in campo un’occasione irripetibile. Perché potrebbe non più ripetersi, e perché se anche si ripetesse non sarebbe uguale alla precedente. Perché alla Juve si fa storia in ogni partita.

Tutto questo si traduce in un impegno accurato negli allenamenti, in una piena disposizione alle indicazioni dell’allenatore, in un accumulo di energia da esprimere in campo al momento opportuno. Giocatori caricati a molla e mandati in campo come frecce prese dalla faretra: l’arciere decide quali, quando e dove scoccarle. E le frecce devono solo raggiungere l’obiettivo.

Altro che preparatori personali e personalismi vari.

Fin dalla fase di progettazione.

Il calcio professionistico è un ambiente competitivo, non basta la buona volontà. Entrano in gioco componenti quali il rendimento e la capacità di fare le scelte giuste. Nello specifico, lo spirito di gruppo deve trovare attuazionee anche e soprattutto in un ben determinato progetto tattico e di gioco che sia la linea guida nell’inserimento dei nuovi giocatori, per le loro caratteristiche tecnico/atletiche. Se una squadra è male assemblata a livello tecnico, anche uno spirito indomito non potrebbe fare molto nel momento della competizione.

Ripensare ad una Juve come ad un qualcosa che preceda i singoli giocatori, sia temporalmente che a livello di aspettative.

Sembra banale, ma negli ultimi anni abbiamo acquisito una mentalità opposta, anche noi tifosi. Se la dirigenza si può tacciare di incompetenza (se non malafede), noi non potevamo cadere ad oltranza in questo errore. Sono anni che puntualmente aspettiamo un gol di Del Piero o Trezeguet per svangare le partite, o il ritorno dall’infortunio di Camoranesi, alla cui assenza addebitiamo la mancanza di qualità del nostro gioco. Quando torna, siamo punto e a capo, ed allora via a cercare altre scuse: i terzini. Non abbiamo la controprova con questi, ma con il trequartista sì: ci mancava il fantasista, per anni abbiamo invocato l’estro in mezzo al campo. In estate, le nostre attese sembravano aver trovato risposta: “Abbiamo comprato l’estro. Ecco, ora lo mettiamo in campo.” Sappiamo come sono andate le cose.

In realtà, nessuno, ma veramente nessun giocatore è in grado di cambiare da solo le sorti di una squadra. Erroneamente lo si dice di Maradona e di Ronaldo-sterone: il primo attese 3 anni per vincere a Napoli, e lo fece solo dopo essere stato circondato da una squadra di assoluto livello per il suo periodo; del secondo si parla che rivoluzionò un’ Inter di brocchi, ma in realtà quell’Inter, l’anno prima, sfiorò il 2° posto in una Serie A molto competitiva, e perse solo ai rigori la finale di Coppa UEFA. Da noi, Platini, Baggio, Zidane ottennero magri risultati non appena il livello complessivo dell’organico andava in flessione. E’ superfluo citare il R.Madrid dell’ultimo decennio.

Certo per vincere e praticare un calcio di qualità ci vogliono i fuoriclasse.

Ma questi si devono inserire in un progetto tecnico già avviato, che sia in grado di proseguire anche in assenza di chicchessia. Il Manchester attuale e la Juve del primo-Lippi sono i più fulgidi esempi di questa concezione, secondo me la più elevata per una squadra di calcio e quella che più di tutti può far sentire orgogliosi i propri tifosi.

L’errore fatto con Diego quest’anno è che lo si è preso per “dare qualità” al gioco. In realtà, invece, lo si è preso rivoluzionando l’assetto di squadra: abbiamo cambiato completamente modulo e modo di giocare, pensando che un singolo giocatore sopperisse con il suo talento (ammesso che l’abbia) al cambiamento generale. Ma questo non significa dare qualità !

Un’espressione del genere è valida per l’inserimento di Sneijder all’Inter; hanno mantenuto un modulo già collaudato ed a quello è stato aggiunto l’olandese al posto di un interprete adattato e meno abile tecnicamente (Stankovic): il gioco ed il sistema erano già avviati, si è solo inserito un elemento in corsa, a rendere il meccanismo ancora più oliato. Questo significa dare qualità.

Non esistono deus ex-machina nel calcio.

La Juve intesa come scuola calcio, quello che è sempre stata.

Un luogo ed una società portatori di un credo calcistico, in cui chiunque venga lo faccia con lo spirito di venire ad imparare a giocare a pallone, ad assumere una disciplina tecnica e tattica, e non solo comportamentale. Chi non possiede questa mentalità, non può far parte del gruppo.

Certo, tutto ciò è possibile se riusciremo a trovare giocatori ed allenatore che siano sì abili nel fatto tecnico, ma anche tanto determinati da far schermo alle forze negative che provengono non solo dall’esterno ma anche dalla nostra stessa dirigenza e che continuamente minano l’attività sportiva della nostra squadra.

THOMAS EJUVENTUS

0 commenti:

Posta un commento

Le più lette