Il calcio non è fatto solo da quei pochi fuoriclasse che Madre natura ha dotato di un talento impareggiabile, ma anche e soprattutto di quegli oscuri lottatori che rifuggono le prime pagine.
Paolo Montero era uno di questi. Il calcio è uguale a tutte le latitudini, non esiste un calcio antico o uno moderno, ma ne esistono gli interpreti e sicuramente Paolo Montero ne ha interpretato lo spirito nella maniera più pura e romantica.
Montero sarebbe potuto tranquillamente uscire dalle pagine di un Soriano o di un Galeano, con quella suo socialismo applicato al calcio: il bene della squadra innanzi tutto, anche a scapito dell'ego personale.
Ed ecco che si spiegano così buona parte dei cartellini colorati ricevuti in carriera; il sacrificio individuale pur di non mettere l'avversario di turno nelle condizioni di segnare alla "sua" Juventus, mentre un'altra buona parte di cartellini arrivava da zuffe e risse imbastite per difendere qualche compagno di squadra maltrattato dagli avversari.
In campo, di botte ne ha date e ricevute Montero, ma non si è mai nascosto dietro ad un dito, anzi. Fedele al proprio codice deontologico secondo il quale in campo si deve far di tutto pur di vincere, non mai lesinato a ricorrere ad astuzie, gomitate e quant'altro, ma il tutto racchiuso in quei novanta minuti, facendo anche attenzione a non rovinare la carriera ad alcuno (e Montero non ha MAI rotto le gambe a nessuno). Prima e dopo massimo rispetto per l'avversario.
Il socialista Montero non poteva quindi andare d'accordo con l'individualista Inzaghi (altro campione mai troppo rimpianto), eppure entrambi, con due filosofie di vita e di gioco completamente diverse tanto hanno contribuito ai grandi successi bianconeri.
Paolo Montero ha sempre difeso a spada tratta squadra, amici e vita privata. Quando lo sfigatissimo uruguagio Franco Ramallo giunse a Torino, sponda granata, per una delle tante vicissitudini societarie patite dalla seconda squadra cittadina si trovò ben presto senza stipendi e senza casa, Montero non esitò un attimo ad ospitarlo nella sua. Negli articoli dei pennivendoli non c'è nemmeno traccia di quando, durante le sue scorribande notturne in una Torino deserta, Montero si fermava a parlare e distribuire quattrini ai senzatetto che bivaccavano nei pressi della stazione di Porta Nuova: faceva più share parlare del Montero presunto picchiatore.
"Non m'importa esser un esempio di lealtà in campo: voglio esserlo nella vita. Quando gioco, m'interessa solo vincere. In ogni modo: il calcio è dei furbi" affermò in un'intervista il sorianesco Montero, scandalizzando i finti moralisti della carta stampata che non poterono in seguito fare a meno di sottolineare come lo stesso uruguayano non avesse nemmeno esitato un secondo a mollare tutto, prendere il primo aereo da Montevideo e recarsi a Torino per assistere l'amico Pessotto.
Tra l'altro Montero è stato uno dei tanti calciatori che i Ricettatori milanesi si sono lasciati scappare sotto il naso: sarà stato anche per quello che non vincevano mai sul campo, altro che farsopoli!
I tifosi juventini (ma anche gli altri, se fossero obiettivi) dovrebbero sempre rendere un immenso tributo quando sulla loro strada incontrano il Montero di turno, eredi di quegli antichi samurai che facevano della lealtà la loro bandiera. Lealtà verso i compagni di squadra, lealtà verso i dirigenti, lealtà verso i tifosi.
"Sono diventato juventino il primo giorno che sono arrivato a Torino, quando mi sono reso conto quanto
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