sabato 20 ottobre 2012

MUGHINI: "JUVE, CALCIOPOLI non sarebbe mai esistita se la FIAT non fosse stata sull'orlo del baratro!"

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fonte LIBERO

Eccome se mezza Italia non rimarrà stasera attaccata al televisore a guardare le immagini della Juve e del Napoli che si affrontano all’ultimo respiro. Calcisticamente parlando che c’è di più affascinante dello scontro tra due città talmente importanti della storia italiana e talmente diverse nel rappresentarne l’identità? Ebbene se c’è un giornalista-scrittore che mai e poi mai alzerebbe il nasino nel pronunciare che non ama il calcio, che lo reputa un passatempo degno del popolino, questi è il piemontese Aldo Cazzullo. E difatti il Corriere della Sera di cui è una delle firme di punta lo manda puntualmente a raccontare le vicende di ciascuna Olimpiade, le gesta di eroi dello sport quali Igor Cassina o Federica Pellegrini. E difatti il calcio compare nelle primissime pagine di questo suo recentissimo e tredicesimo libro, il mondadoriano “L’Italia s’è ridesta”. Un libro dove Cazzullo fa una gran scommessa sul futuro del nostro Paese, di cui lui è convinto che abbia le risorse e le intelligenze per rinascere. Tanto che queste potenzialità che ne fanno a tutt’oggi un brand attirantissimo in tutto il mondo, le va a scovare città per città dello stivale, da Torino a Palermo. Torino è poi la città dove Cazzullo ha fatto gli studi universitari e dove ha debuttato da giornalista, la città che ha circumnavigato in molti dei suoi libri. La città della famiglia Agnelli, della Juve, di Luciano Moggi. Ed ecco che nel capitolo dedicato a Torino, Cazzullo da innamorato del calcio te lo dice netto e perentorio. Che la Juve è una gran cosa e ha una gran storia, ma che solo «gli irriducibili» - e sono sicuro che Aldo stesse pensando fra gli altri al sottoscritto continuano a pensare agli «anni di Moggi come ad “anni gloriosi”». E per fortuna - scrive ancora Aldo - che il ruolo di direttore sportivo della Juve è toccato a un uomo in gamba come Giuseppe Marotta, e meno male che la Juve s’è costruita lo stadio più moderno d’Italia, e meno male che la sua storia continua. No, Aldo. Chi ti scrive è davvero un «irriducibile» sull’argomento, e non molla. Bada bene, non ti sto parlando da tifoso, ciò che sarebbe miserevole. Ti sto parlando da amico, come te interessato alle verità e alle particolarità della storia italiana, calcio e tutto il resto. Perché nel delitto giudiziario e massmediatico compiuto ai danni della Juve nell’estate del 2006, c’è tutto della storia torinese e di quella italiana. Senza quel tutto della storia degli Agnelli, della Fiat e della politica italiana non capisci neppure l’abc di Calciopoli. Altro che calcio come oasi separata della nostra società, come credono i babbei che alla mattina comprano in edicola solo un quotidiano sportivo. Calciopoli non ci sarebbe stata o non sarebbe stata a quel modo impudente che è stata: intercettate solo le telefonate di Moggi e mentre tutte quelle fatte dai dirigenti di altre società venivano accuratamente conservate nei ripostigli i più remoti. Calciopoli non ci sarebbe stata se Gianni o Umberto Agnelli fossero stati ancora vivi, ma soprattutto se la Fiat del 2005-2006 non fosse stata sull’orlo del baratro, una situazione che Sergio Marchionne ha ricordato per la centesima volta poche settimane fa. È la debolezza politico-economica della Fiat di quel momento a far sì che gli eredi Agnelli paghino un togatissimo avvocato torinese per «non» difendere la Juve, per non fare al «mostro» Moggi una sola telefonata a chiedergli se tutte le vittorie di dodici anni «gloriosissimi» fossero davvero dovute a un’unica e gigantesca combine. Se quel fottìo di scudetti e finali internazionali la Juve li avesse conquistati non per come Zidane, Nedved, Del Piero, Vialli, Deschamps e cento altri giocavano a palla, e bensì per essere andati Moggi e Giraudo (accompagnati dalle loro mogli) a cena dal designatore Paolo Bergamo. Ma ve la immaginate per un solo momento Calciopoli se al timone della Juve ci fosse stato nel 2006 un Andrea Agnelli, uno che strepita e ulula per ogni torto anche piccolo che fanno alla Juve di oggi? E nel 2006 non è che si trattasse di un torto, s’è trattato del tentativo di distruggere la storia e l’onore di una squadra che in dieci milioni di italiani amiamo «irriducibilmente». Se il tentativo malgrado tutto non è riuscito, è perché il gruppo dirigente della Juve sì, Moggi e Giraudo - aveva seminato talmente bene e senza spendere una sola lira della Fiat, tanto che con i pochi campioni che le erano rimasti e con i campioncini allevati nel vivaio Juve (da Marchisio a Criscito) la Juve ha conquistato secondi e terzi posti dietro le armate milanesi per le quali la famiglia Berlusconi e la famiglia Moratti avevano speso di che essere rimasti oggi senza una lira che sia una. Lo ripeto per l’ennesima volta. Altro che cene a casa Bergamo, con i soldi spesi dalle due società milanesi Moggi avrebbe comprato tutta Hollywood, ivi compresa Madonna, Nicole Kidman e Uma Thurman. E a non dire dello stadio nuovo e pimpante. Un’idea e un progetto interamente by Giraudo, e ci provi qualcuno a smentirmi.

Giampiero Mughini

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