venerdì 23 aprile 2010

Paolo Montero: "Il calcio è un mondo ipocrita"

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La redazione di "Tutti pazzi per la Juve" ha intervistato il grande centrale difensivo uruguaiano Paolo Montero, amatissimo e indimenticato difensore della Juventus per 9 anni.

Uno dei condottieri di quella Juve che ha vinto tutto; una bandiera per noi tifosi che siamo veramente emozionati di averlo con noi.
Come stai Paolo? Stai seguendo la Juve quest’anno?
“Ciao ragazzi, tutto bene, grazie. Vivo da quattro, cinque anni in Uruguay e starò qualche giorno a Torino. Sto riuscendo a seguire la Juventus anche dall'Uruguay, quindi so com’è andata quest’anno, purtroppo”
Avrai quindi avuto modo di vedere anche i grossi problemi difensivi dei quali ha sofferto la Juve questa stagione?
“Purtroppo quando prendi gol si dice sempre che la colpa è della difesa, ma la colpa è di tutti. Dalle mie parti si dice, “o moriamo tutti o ci salviamo tutti”. Se l’attaccante non fa gol non è solo colpa sua; se non c’e un volume giusto di gioco è difficile combinare qualcosa. Se il centrocampista non crossa, ad esempio, l’attaccante non segna.”
Dal punto di vista puramente difensivo, c’è un modo univoco di marcare un calciatore? Tu, ad esempio, come marcheresti un giocatore come Balotelli?
“Non si sa mai come marcare un giocatore; entri in campo e ti adegui alla situazione come capita. Difficile da spiegare, sono intuizioni che hai mentre giochi. Io a detta di tutti ero un giocatore violento, però tanti non ricordano che mi hanno picchiato spesso, mi hanno spaccato bocca e occhio e non ho mai dichiarato nulla. Interpretavo il calcio cosi, non ero solo io che picchiavo.”
Tu sei la storia della Juventus, ti rendi conto cosa hai lasciato nel cuore dei tifosi? Hai sempre interpretato le partite alla grande, con sacrificio e grande spirito di gruppo.
“Ti faccio un esempio, che racchiude insieme allegria e delusione nello stesso momento: quando c’è stato l’incidente di Pessotto, nessuno si meravigliava in Uruguay che fossi partito per andarlo a trovare. A Torino, invece, tutti mi ringraziavano. La gente, anni fa, pensava che fossi un uomo cattivo anche fuori dal campo, e ciò mi faceva male. Io interpretavo così il calcio, ma la vita è diversa, devi sempre essere leale. Il calcio è un mondo ipocrita: dichiariamo che andiamo in chiesa e il mattino dopo andiamo a rubare.”
È vero che sei venuto a Torino perché hai qualche giovane talento in caldo da far vedere in Italia?
“Si, ho trovato dei giocatori interessanti che potrebbero stare in qualsiasi squadra europea. Sono quattro giocatori: Aguirregaray, Calzada, Pereyra e Mirabaje. Sono tutti giovanissimi e hanno partecipato tutti e 4 all’ultimo Mondiale U20. Alla Juventus consiglierei soprattutto Aguirregaray, un ottimo terzino destro, ma anche Calzada."
Nella rosa della Juventus c’è già un uruguayano, Martin Caceres. Come giudichi il suo apporto quest’anno?
“È bravo. Ha avuto un bruttissimo infortunio, l’ho avuto anche io; ti comanda come vuole lui, fino alla fine ed è molto fastidioso, Il ragazzo mi piace, ma non so se la società lo riscatterà. Con la società Juve io ho un buon rapporto, specialmente con Secco. Io sono un tifoso della Juve e gli auguro tutto il bene.”
Piccola provocazione. Data l’età dei nostri giocatori, non potresti tornare a giocare, almeno per queste ultime 4 partite?
“No, devo dire che la cosa migliore che ho fatto è lasciare il calcio al momento giusto. Quando passano gli anni e, alla fine di una partita, per recuperare ci metti tre giorni, capisci che è il momento di lasciare. Adesso sto vivendo un’altra dimensione in Uruguay con la mia famiglia.”
Domanda diretta su argomenti passati e attuali sempre caldi, la tua Juventus aveva bisogno del doping e di telefonare? Cosa ne pensi di quello che è successo a Moggi?
“Guardati la formazione e avrai la risposta. Quando vinci sei sempre scomodo, invidiato e odiato. Di Moggi non so che dirvi; io lo chiamo spesso per rispetto e perché con me si è comportato sempre molto bene. Ma non ti so dire cosa accadeva fuori dal campo.”
La gente, i tifosi, ti hanno sempre nel cuore. Alcuni ti vorrebbero anche come Presidente, o perlomeno in società. Ti è stato mai proposto di entrare nella dirigenza della Juve?
“Ringrazio tutti, davvero. No, non mi hanno mai proposto nulla, anche perché io abito lontanissimo. Dopo tanti anni fuori avevo voglia di tornare a casa, sono partito a diciannove anni per andare a giocare a Bergamo.”
Come lo vedi il futuro della Juve? Dopo Calciopoli, la squadra è stata smembrata, l’umiliazione della serie B, gli assetti dirigenziali mutati. Secondo te troveremo la forza di risorgere? Qualche consiglio?
“La Juve sarà sempre la Juve, ma per avere i giocatori più forti devi tirare fuori i soldi oppure devi puntare ad un progetto che dura quattro anni per vedere qualche frutto. Non so se i tifosi aspetteranno altri quattro anni. Non sono dentro, non so cosa sta accadendo, ma il futuro della Juve non è semplice.”
Cosa ne pensi di Benitez?
“Ha vinto tutto; la Coppa UEFA con il Valencia (anche due campionati con gli andalusi ndr), la Champions con il Liverpool dopo tanti anni in cui in quella città non si vinceva niente. E’ uno che capisce di calcio, se ha fatto bene lì farà bene anche alla Juve, se arriverà.”
Ciro Ferrara ha avuto una stagione tribolata al suo esordio in panchina. Alla luce dei fatti di quest’annata, pensi che Ciro Ferrara potrà ancora fare l’allenatore?
“Si. Quando giocavo con lui, che considero uno dei più forti centrali italiani di sempre, ero convinto che diventasse un allenatore. Lui ha voglia di continuare, figlia della sua grande grinta. Avrà ancora la sua chance.”
Della Juve della quale hai fatto parte, Ferrara, Deschamps e Conte sono diventati allenatori. E tu? Hai mai pensato ad una carriera da allenatore?
“No, non mi è mai interessato fare l’allenatore. Adesso, rispetto a prima, parlo di più con i giornalisti. Prima volevo passare sempre per inosservato.”
Sono leggenda le tue famose nottate torinesi di divertimenti, insieme al tuo amico Fabian O’Neill. Ci racconti qualcosa di quelle famose serate?
“Fabian è come un fratello per me. Abbiamo fatto delle serate veramente molto lunghe; andare ad allenarsi senza dormire è dura però facevamo allenamento uguale e non ci potevano dire niente, avevamo la fortuna che la domenica si vinceva....”
Ed è anche per questo che sei uno dei giocatori più amati di sempre a Torino. Perché qualunque cosa accadesse, onoravi la maglia fino all’ultimo.
“Grazie, ma quello lo facevano tutti. Io ho avuto un padre nello spogliatoio che era Angelo Peruzzi; c’erano tanti leader. Zidane, ad esempio, era un tipo silenzioso, ma nel momento critico della gara era il primo a prendere palla. Tutti avevano un proprio ruolo, anche psicologico, un grande gruppo, fatto da grandi uomini.”
Paolo ti vogliamo bene e ti mandiamo un abbraccio. Ti rivogliamo presto con noi, grazie ancora.
“Grazie a voi.”

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